Bibliomania

Se non so dire quello che penso, non riuscirò a sapere quello che dico

“Scopo di questo dizionario è di insegnare a chi mal la conosce, o di ricordare a chi, trascurandola, l’ha dimenticata, la buona lingua italiana. Dicendo buona lingua italiana non si intende quella forse anche pedantesca dei cosiddetti puristi di cent’anni fa: siamo ben lontani, oggi, da tanta raffinatezza; qui si intende soltanto la lingua grammaticalmente corretta, la lingua pulita, e non resa bastarda da sciocchi vezzi o da inutili esteromanie; la lingua che rispetti a un tempo le leggi antiche della grammatica, quelle secolari della tradizione (il cosiddetto genio della lingua), le leggi infine del buon gusto e del senso comune. Anche in tempi frettolosi come i nostri, e tanto ansiosi per i molti e gravi problemi che li affannano, non deve sembrare fuor di luogo occuparsi di quest’altro problema, ch’è quello dello scrivere e del parlare corretto. Stupirebbe davvero che proprio oggi, che si tiene in sì gran conto la conoscenza delle lingue altrui […], si trascurasse con leggerezza la buona conoscenza della lingua propria.”

Queste parole sono tratte dalla prefazione al “Dizionario Linguistico Moderno, Guida pratica per scrivere e parlar bene” di Aldo Gabrielli. Sono parole del 1955, ma potrebbero essere state scritte in questi giorni, tanto sono attuali e pertinenti. Certo, lo stato di salute della nostra bella lingua italiana, dopo quasi 70 anni, è molto peggiorato, al punto che l’imbastardimento linguistico di cui parla Gabrielli oggi è diventato un vero e proprio imbarbarimento culturale. L’“inutile esteromania” degli anni ’50 del ’900 è diventata necessità e piena colonizzazione della lingua inglese, senza la quale non avremmo le parole per nominare una larga fetta della nostra realtà quotidiana, fatta di internet, social network e digital devices.

Ma questo sarebbe il problema minore, se solo sapessimo padroneggiare con sufficiente sicurezza la nostra lingua, parlando e scrivendo in modo sufficientemente consapevole e corretto. Invece noi Italiani abbiamo una conoscenza e una padronanza della lingua, soprattutto scritta, da mettere i brividi al più indulgente e misericordioso degli insegnanti. E questo è grave e preoccupante, perché chi parla o scrive male, pensa male, essendo il pensiero e il linguaggio praticamente sovrapponibili.

Avere un piccolo vocabolario significa avere pochi e piccoli pensieri, pescati soprattutto dal paniere dei luoghi comuni e delle frasi fatte. Non saper tradurre in parole le nostre idee significa tradire in un colpo solo sia la lingua sia il pensiero. Mentre lo scopo della lingua è quello di esprimere, come dice Cartesio, “idee chiare e distinte”, anziché oscure e confuse. Dunque impariamo a leggere, impariamo a scrivere, impariamo a parlare, perché la qualità della nostra vita dipende dalla nostra visione del mondo e dalla nostra capacità di esprimere tale visione.



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