Filosofando

L’oscuro fascino dello “schermo bianco”

In piena Seconda Guerra Mondiale (1943) lo psichiatra Henry Murray ricevette l’incarico da parte dei servizi segreti USA di stilare un profilo del dittatore nazista Adolf Hitler. Murray ritenne che i dati descrivessero una personalità sadico-narcisistica gravemente disturbata, diagnosi che ebbe un discreto successo nel prevedere le mosse del Fuhrer. Il metodo nel tempo venne replicato con altri tiranni, come Stalin, Mussolini e perfino Robespierre.

Appare evidente che queste figure dominanti della storia avessero tutte dei gravi disturbi di personalità a sfondo narcisistico, con grandi difficoltà nello sviluppare relazioni empatiche con il prossimo (DSM V, 2014). Individui come questi non sono in grado di “entrare nei panni” dell’altro, se non per mettere se stessi al centro del mondo. La “grandiosità di sé” serve a non cadere nel tragico buco nero identitario e affettivo, dal quale si cerca protezione con schermi su cui proiettare illusioni di potere, edonismo e ricchezza, sostenute dall’uso dell’altro come mero strumento.

Oggi si parla di psicopatologia, che dovremmo riconoscere e contenere. Ma è davvero così? A partire dalla fine degli anni 80 del secolo scorso si è diffusa l’idea che l’individuo venga prima di tutto, che possa fare a meno degli altri e che debba dimostrare di valere per se stesso. È sull’incerto confine fra autostima, identità e successo, spesso escludendo la componente delle relazioni sociali, che è stata sdoganata una “cultura narcisistica” dell’essere umano, dove l’altro conta solo in quanto “seguace”, dove si svalutano i fatti e gli affetti a favore dell’estetica dell’immagine, e dove le emozioni negative non vanno né comprese né integrate nella propria storia identitaria, ma semplicemente evitate.

In una società narcisistica è facile per coloro che mostrano le maschere migliori ottenere i maggiori consensi. E quelle immagini si proiettano precisamente su quello schermo bianco che copre il vuoto. Se abbiamo paura di qualcosa, basta che qualcuno ci tranquillizzi offrendoci un qualsiasi compito da svolgere, purché ci si distragga. Se siamo arrabbiati, basta che ci venga prontamente offerto un nemico da combattere. Meno ci viene chiesto di sviluppare pensieri complessi, più siamo contenti, meglio ancora se il tutto viene condito e colorato di passionalità.

In un mondo così distorto, chi presenta una personalità disturbata parte favorito, perché conosce bene quello schermo bianco e vuoto fin da piccolo, ha imparato presto a emulare le risposte emotive richieste e non percepisce alcuna remora nell’usare gli altri facendo leva sulle loro paure. Ed è per questo motivo che gli urlatori della politica hanno un così largo consenso: perché su quello schermo bianco, dove vengono gettati schizzi di follia, molti proiettano le risposte ai propri vuoti e alle proprie insicurezze.

Oggi è necessario recuperare il pensiero complesso, l’errore come fonte di apprendimento, l’elaborazione della sofferenza come senso della propria identità, la percezione empatica dell’altro come arricchimento del proprio bagaglio umano.

Ma vuoi mettere quanto è più divertente una serie TV?



Commenti

  1. Errore da errare, andare vagando, non seguire la via retta.
    Già dalla sua origine ne abbiamo attribuito un significato negativo. Eppure, malgrado l’evoluzione dell’umanità, impariamo ancora tutto sbagliando.
    Quanto siamo fragili, imperfetti. Tutto questo ci rende meravigliosamente umani. Errore è crescita, riflessione, evoluzione.

    1. A volte il vagare erratico diventa ricerca, esplorazione, scoperta dell’imprevedibile. E da questa prospettiva, la nostra incompiutezza e incompletezza è la cifra stessa della nostra umanità in evoluzione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *