Dizionario ragionato

Distopia

Dal greco dys tòpos: “brutto luogo”, “luogo cattivo, negativo”. È la rappresentazione di una realtà ipotetica proiettata nel futuro nella quale si prefigurano assetti sociopolitici gravemente degradati. La distopia è l’opposto polare dell’utopia (dal greco ou tòpos, “non luogo” o eu tòpos, “bel luogo”, cioè “luogo positivo che ancora non c’è”), eticamente ispirata al meglio che l’umanità possa immaginare di realizzare.

Le distopie narrative fanno la loro comparsa nel XX secolo, affidate al filone fantascientifico, immediatamente riconoscibili per l’aspra critica sociale che trasuda dalle loro trame. Alla prova del tempo, le distopie restano inossidabili nella memoria. Chi non ricorda l’oppressione ottundente del Big Brother di George Orwell in 1984? Impossibile poi dimenticare l’amnesico Mondo Nuovo di Aldous Huxley, totalmente asservito al motto: “Comunità, stabilità, identità”. Per non parlare di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, dove la società si è trasformata in un reality infinito, i pompieri sono incendiari e i libri e la cultura vengono esorcizzati in funesti falò (come nel nazismo). E come non riconoscere il successo esemplare del caotico e disperante mondo cyberpunk creato da William Gibson nel Neuromante?

È stato il cinema negli ultimi decenni a magnificare il genere, con la trasposizione, ad esempio, del romanzo di Anthony Burgess nel delirante e arido socialismo ultraviolento di Arancia Meccanica di Stanley Kubrick; o del racconto di Philip Dick nel paranoico e oscuro mondo di Blade Runner.

Ma perché tanto successo per gli antri oscuri della peggior fantasia umana? Per la stessa ragione per cui ricordiamo meglio gli incubi e i traumi. L’esperienza negativa resta impressa nella nostra matrice emozionale, affinché ci si impegni per evitare di ripeterla. Nel caso della distopia, l’esser passati attraverso certi realistici cupi parti dell’immaginario ci consente di riconoscerne gli indizi nel quotidiano e di rifiutarne le tracce e le pseudo ragioni quando qualche millantatore ce le vuole spacciare per buone. Le distopie costituiscono un monito, un monstrum, nonché una sorta di comun denominatore etico culturalmente condiviso, al di sotto del quale non ci si deve spingere per non perdersi nella barbarie e nella disumanità.



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